L'errore di fondo dei credenti è presto detto: non può esistere alcun dio. Tutto, noi compresi, è frutto di casualità, di adattamento, di storia della Natura. Capisco l'interrogarsi sul "perché" asistiamo. Ma questa domanda non è altro che il risultato di uno scarso studio delle scienza e di una immorale superficialità del Pensiero. Io non sono solo laico, non sono agnostico, non sono neppure dubbioso. Io sono ATEO E RAZIONALE

giovedì 3 novembre 2011

PSICOPATOLOGIA DELLA CREDENZA QUOTIDIANA


L'ORIGINE PSICOANALITICA

Il titolo strizza l'occhio al noto lavoro di Sigmund Freud datato 1901 «Psicopatologia della vita quotidiana. Dimenticanze, lapsus, sbadataggini, superstizioni ed errori» allo scopo di riversare anche sulla credenza (religiosa) quelle che io considero piccole - ma significative - malattie della psiche.

In uno degli ultimi banchetti stradali del Circolo Uaar che coordino, abbiamo potuto focalizzare discretamente - attraverso i molti contatti avuti con la gente di passaggio - cosa si può intendere per «psicopatologia della credenza».

Una simpatica trentenne che ci ha avvicinati, s'è dichiarata immediatamente atea e non battezzata, solleticando in noi uaarini un piacevole feeling; sennonché, prima di salutarci, alle condivisibili idee anti-religiose fin là espresse, ha aggiunto con soavità la propria eccezione per papa Wojtyla, entusiasticamente giudicato un grande, un foriero di pace, e finanche un illuminato.

Un'altra giovane coppia, ugualmente auto dichiaratasi non cattolica e pronta allo sbattezzo, ha subito dopo preso le distanze dal nostro ateismo giacché uno «gnostico» (quindi nient'affatto ateo) e l'altra esoterista (quindi tutt'altro che razionale).

I due esempi, ancorché campione non significativo, indicano bene le piccole psicopatologie che serpeggiano nel corpus della credenza.

Seguendo il ragionamento freudiano, l'uomo vive la sua esperienza psicologica su due diversi registri, che hanno modalità proprie di percepire la realtà: la coscienza, che tende a vivere la realtà oggettiva; e l'inconscio, che vive invece da subordinato giacché i suoi contenuti vengono sistematicamente repressi.

Possiamo considerare il percorso del credente come una progressiva sedimentazione di queste repressioni, in termini di rinuncia al superare tutte le piccole/grandi «verginità» culturali e psicologiche: dal sentirsi nomali perché credenti al rifugiarsi nelle preghiere, dal masturbarsi macerandosi nel peccato al convincersi che ci dev'essere per forza qualcosa dopo la morte.

Tale sedimentazione può non essere sempre compiuta e risolutiva. In genere, sono tanti e tali i contenuti irrazionali - e soprattutto atavici e sedimentati - dell'inconscio, che la coscienza, sebbene rinnovata e rinforzata dalla maturità psicologica, spesso perde qualche battaglia e talvolta pure la guerra.

Quali possono essere i contenuti-cascami di cui il credente non sa liberarsi?

Intanto, troppa gente abbandona la religione non per liberarsene ma per abbracciarne un'altra: sia essa una religione strutturata, sia essa una pseudo religione, sia essa l'ennesimo soprannaturale «altro»: spiritismo, satanismo, parapsicologia, esoterismo, ecc.

Altre persone, pur abbandonando la religione, conservano o sviluppano - quasi sempre non ammettendoli - cascami infidamente para religiosi; parlo di scelte che sono non-scelte ma condizionamenti prodotti da cause non supervisionate da un raziocinio.

VEGANISMO, VEGETARISMO, ANIMALISMO

Un esempio per tutti, il veganismo, cioè quella rinuncia a mangiare tutto ciò che ha origine animale, che attuano i vegetariani estremi raccontandosela come un nuovo «stile di vita».

Of course, non sono d’accordo. La mia - opinabilissima! - critica muove dal semplice perché si diventa obiettori di carne e derivati. So bene che si parla di salutismo, di scelta razionale e di rispetto per le specie animali. Ma alla base di questa non-scelta c'è un palese ragionamento etico/morale che, come tutti i ragionamenti di questo tipo, è l'espressione di un disagio profondo e doloroso.

Un mio amico non è vegano, è ancora solo vegetariano; nel senso che mentre è minuziosamente attento a non ingerire carni in nessuna forma o dimensione, non ha problemi a scofanarsi di pesce. A mio parere, ciò evidenzia bene la posizione sfacciatamente discriminatoria di chi fa tali (pseudo) scelte, a cui possiamo accomunare tanti altri tipi, per esempio gli animalisti, difensori di cani e gatti, ma non di pulci, coccodrilli e barracuda.

La «scelta» del mio amico, in realtà trae origine da uno shock psicologico subìto per la perdita del suo amato cagnolino. Prima di quell'evento, infatti, lui era normalmente onnivoro, come Natura lo creò. Subito dopo ha cominciato a provare disagio a ingerire carni, ed in breve è approdato al vegetarismo, stando però accorto a coprirlo con argomenti dotti, primo fra tutti l'omnicomprensivo: è una libera scelta

Invece no, la libertà finisce esattamente quando essa è il prodotto di qualcos'altro (nel suo caso, lo shock per la morte del cane). Non c'è ragione plausibile per passare dallo stato naturale di onnivori a quello parziale di vegetariani. In realtà, tutto si spiega semplicemente con una concezione sacralizzata dello stimolo primario dell'alimentazione e dell'esistenza in generale; sacralizzata, come detto, in modo incoerente: carne sì, pesce no; cani sì, zanzare no; vita animale sì, vita vegetale no.

Libero non è chi - castrandosi psicologicamente - si costringe a selezionare quel che deve o non deve ingerire; libero è chi conserva la propria potenzialità di ingerire tutto. Altrimenti si entra in un ragionamento di tipo «religioso», fatto quindi di taboo, di dogmi e soprattutto di credenze da sostituire alle informazioni. Difatti, per rinunciare alla carne non ci sono ragioni salutiste (le proteine vegetali non sono equivalenti a quelle animali), non ci sono ragioni mediche (la carne non fa danni «esclusivi» rispetto a molti altri cibi), non ci sono neppure quelle ragioni etiche così di moda, giacché legare l'alimentazione carnivora al rispetto di un essere vivente senziente non è più giusto che legare l'ingestione dell'insalata all'altrettanto rispettabile vita vegetale diversamente senziente.

LA PUREZZA DELLA CREDENZA

Attraverso questi - e molti altri - cascami sacraloidi, emerge il tema del tasso di «purezza» della credenza quotidiana.

La credenza pura fa dell'irrazionalità un culto e prende atto di esserne un sottoinsieme; si pasce nei dogma e nelle verità assolute. Il «puro» coincide col «perfetto», nella balzana idea che credere in un dio si debba considerare un disincrostante della morale laica atto a raggiungere una qualche purezza esistenziale.

Sulla credenza sottoinsieme dell'irrazionalità: si fa compatire la mega superstizione del sistema-dio con la mini superstizione del gatto nero. La credenza o è irrazionale o non è.

Sulla credenza fondata sui dogma: dei tre significati di «dogma» (opinione, dottrina e decisione) sicuramente la purezza credente guarda alla dottrina, non essendo né un'opinione né una decisione.

Sulla credenza fondata sulla verità assoluta: la credenza pura crede di essere la concezione che combacia con quella verità; peraltro disprezzando i tentativi di confutarla di fronte a prove evidenti del suo contrario.

La sicumera delle affermazioni credenti sono una difesa patetica che cerca di sostituire il nulla degli argomenti. Infatti, solitamente un credente si offende di fronte a un'affermazione netta della non esistenza di Dio; egli spera che un ateo si debba schernire nell'affermarsi ateo a tutto tondo.

Tutte queste che non mi astengo a chiamare debolezze psichiche, rendono faticoso il credere. Nella quotidianità di ciascuno, il credente è costretto a condividere gli spazi psichici di chi credente non è, o è diversamente credente, la qual cosa lo costringe a continui confronti. Non è una gara e non è necessario prevalere. Però questo lavoro stanca il credente e alla fine lo sclerotizza in una torre d'avorio.

PSICOPATOLOGIE

Il sistema delle credenze religiose - che sono un sottoinsieme dell'irrazionalità così come l'ateismo è un sottoinsieme della razionalità - attacca le idee diverse dalle sue in molti e multiformi modi.

Per esempio, concependo le relazioni umane attraverso la sciagurata lente dell'ubi major minor cessat. Nella presunzione (inutilmente coccolata) di appartenere a una maggioranza, il credente legittima qualsivoglia prevalenza, sia essa filosofica o politica, d'autorevolezza o di lignaggio sociale; giustificandola nientepopodimenoché con il placet e il volere del suo dio.

Oppure barricando «gli altri» dentro usi e costumi che appartengono alla sua religione: e com'è bello e universale il Natale, e com'è santo e trasversale il messaggio della Pasqua, e com'è giusto commemorare i defunti (solo quelli dei cimiteri cattolici), e com'è normale avere in casa il calendario di frate Indovino, bla bla bla.

Il credente convive pacificamente e incoscientemente con le proprie psicopatologie ma, quel che è peggio, è perennemente attratto dalla «mission» di renderle universali. Qualche esempio, benché viziato dalla visuale di un napoletano.

Farsi il segno della croce. Il braccio destro del credente standard scatta fulmineo di fronte a ogni ammennicolo sacro che incontra. La mano chiusa a pigna, in un lampo, unisce i puntini fronte-petto-spalla-spalla, formando una rudimentale croce per poi congiungersi alla sinistra nel segno dell'amen; e la stessa scena/saluto si ripresenta al passaggio di un feretro o transitando davanti a un cimitero. Penso, spero, che sia una sorta di saluto reverenziale, benché viziato dal rivolgersi a manufatti inanimati; perché se non lo fosse, l'ipotesi di Fritz Erik Hoevels sulla religione delirio collettivo andrebbe studiata a scuola …

Baciare i santini. Santiddio (ops !), ma perché? Perché sbavare sulle foto di santi e madonne? Capisco la nostalgia per l'idolatria strappata via dalla versione 1.0 dei Comandamenti, ma 'sti credenti non hanno neppure un briciolo di conoscenze epidemiologiche?

Evitare di capovolgere il pane a tavola. Il pane, si sa, è il corpo di Cristo; non solo sul sacro altare ma pure sulle profane tavole dei cittadini credenti. È probabile che il commensale credente pensi che la transustanziazione si attivi non solo durante il clou grandguignol della Messa, ma pure in barba a salumi, sughi e gratta formaggi coopresenti su quella tavola. Difatti, guai a fargli vedere una rosetta o uno schizzotto con la pancia in giù! Resta misterioso come fa quel credente a capire quale sia il lato irriverente, dal momento che non tutte le forme (si pensi alla tubolare baguette) si avvalgono di una «base» in grado di ricordare le spalle di Vostro Signore.

Abbigliarsi di monili cruciformi. L'ostentazione è di per sé una caduta di stile. Ma quando trasforma un essere umano in una bancarella ambulante di gadgets cristiani, siamo al cospetto di una sofferenza psichica di urgente profilassi. Non è un problema di vietare o concedere, trattandosi di libera sfera privata; però spernacchiare in giro il proprio orgoglio cristiano è più da venditori d'enciclopedie che non da timorati di Dio.

Fare un fioretto. Questa masochistica tendenza significa limitarsi di qualcosa per onorare Dio. La Chiesa non lo vede di buon occhio perché è una pratica non dissimile dal comprarsi i favori di Dio; ciononostante, è molto praticata. Orbene: quali sono le cose di cui privarsi onde soffrire in onore di Dio? L'acqua o il cibo a cui ciclicamente rinuncia Pannella? Attuare le astensioni che inaugurò Lisistrata? No. Sono sempre e solo stramberie da verginelle anoressiche: rinunciare al caffè quotidiano per una settimana, limitare i dolciumi, non mangiare gli gnocchi il giovedì, perdersi una puntata del Grande Fratello. Dopo di queste epocali rinunce, Dio dovrebbe riconoscere al fiorettante un cadeau ?

Ai posteri l'ardua sentenza.

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